emerse nell’incontro annuale regionale Piemonte e Valle D’Aosta della Pastorale Sociale e del lavoro,
“AL CUORE DELLA DEMOCRAZIA PARTECIPAZIONE TRA STORIA E FUTURO”
Saluzzo, 14/15/16 settembre 2023
Si chiama 50.ma Settimana sociale dei cattolici in Italia e non più italiani, “in segno di apertura e di riconoscimento della presenza nel nostro Paese e nelle comunità cristiane di persone provenienti da tanti luoghi del mondo”, il cambiamento avvenuto nella formulazione è molto importante proprio per sottolineare l’integrazione delle genti.
Da questo punto di vista non è casuale la scelta di Trieste come sede della prossima Settimana, una città di confine che ha sempre rappresentato un’apertura sul mare Mediterraneo. Un mare che riversa senza sosta in Europa, ma particolarmente oggi, quei fratelli “diversi” che sono i migranti.
Non più dei “cattolici italiani”, non c’è più dunque un riferimento nazionale, ma il riferimento a un luogo che deve diventare luogo di aggregazione per tutti, luogo di rigenerazione di un popolo. Perché senza una realtà popolare viva, come ha affermato anche Papa Francesco, non è nemmeno possibile rigenerare la democrazia.
Altra novità che sottolinea o è il forte richiamo alla continuità con le Settimane precedenti, in particolare quella sul tema “Il pianeta che speriamo” tenuta a Taranto nel 2021. Per questo, gli atti della Settimana di Taranto – è stato detto – non devono essere riposti in biblioteca ma, con la loro ricchezza e con le indicazioni operative, devono continuare a ispirare l’impegno sociale dei cattolici, particolarmente nell’impegno a creare in Italia quelle “comunità energetiche” che potranno rendere possibile una conversione ecologica di cui si sente urgente bisogno.
Trieste è stata scelta quale città ‘di confine’, multi religiosa, col fine di “capire qualcosa di più di questi confini che uniscono e dividono, di questa Europa e del suo sogno di pace tante volte tradito, del mondo che vi arriva a piedi – piedi feriti dal cammino e provati dalla fatica – dopo aver percorso le strade della guerra e della disperazione”.
Le prime cose che noti sono le scarpe sbrindellate e i piedi piagati da giorni di cammino. I migranti arrivano a Trieste dopo una lunga marcia attraverso i Balcani e quando si sfilano i calzini sfondati, scoprendo lacerazioni profonde, non puoi fare a meno di pensare ai luoghi da cui sono partiti per sfuggire alla fame e alle guerre,
I migranti invisibili delle rotte terrestri
A Trieste arrivano dalla Rotta Balcanica oltre 100 migranti ogni giorno. A Ventimiglia si stima che i respingimenti da parte della polizia francese saranno 30mila entro la fine dell’anno. Quanti sono complessivamente ogni anno i migranti che arrivano dai confini di terra? In quanti chiedono asilo in Italia? Intanto aumenta il numero di minori stranieri non accompagnati. A presidiare i punti nevralgici delle rotte di terra, per dare prima assistenza ai migranti, solo le organizzazioni umanitarie e i volontari.
Quello che possiamo fare è avere delle stime e confrontare le voci delle organizzazioni umanitarie e dei volontari che presidiano i punti nevralgici delle rotte di terra per dare prima assistenza ai migranti che arrivano. Tre i luoghi principali da considerare: il Friuli Venezia Giulia, nello specifico la città di Trieste, perché il punto d’arrivo delle Rotta Balcanica, quindi l’ingresso in Italia e le due frontiere d’uscita, Oulx in Val di Susa, e i comuni di Ventimiglia e Mentone, dove i migranti provano a passare il confine con la Francia, ma più e più volte vengono respinti dalla parte Italiana del confine.
Bisogna sostenere il lavoro
Dei volontari per offrire una prima assistenza a chi arriva. Sul pavimento sono poggiati borsoni colorati da cui vengono tirate fuori creme per piaghe e dermatiti che, dopo settimane con il sudore appiccicato addosso, senza potersi lavare, sono comuni. I migranti ringraziano con gesti che parlano: mani giunte e occhi devoti.
Speriamo di sbagliarci, ma ci pare che la strada intrapresa sia solamente quella della deterrenza alla presenza di persone migranti in piazza attraverso la militarizzazione e la sanzione facile, con l’intento di allontanare e invisibilizzare le indesideratə e Linea D’Ombra, relegandoli probabilmente in qualche angolo nascosto del porto vecchio. Il tutto condito di “razionalizzazione dell’accoglienza”, ovvero fumo negli occhi per far credere all’opinione pubblica e a qualche ingenuo di star lavorando per il bene delle persone non accolte o in transito. Se così non fosse, ci aspettiamo che il sindaco metta a disposizione una struttura adeguatamente equipaggiata limitrofa alla stazione, a libero accesso, senza alcuna militarizzazione, ascoltando le richieste delle associazioni che frequentano la piazza e lasciandole agire senza ingerenze e regolamenti discriminatori. In caso contrario, le autorità sappiano che troveranno tantə solidalə a difendere l’esperienza della piazza del Mondo, che è oggi densa di significati.
Ascoltare per capire, capire per “stare con e tra” le persone in cammino
La proposta emersa dall’esperienza di Taranto era quella di tenere insieme il legame tra lavoro e salute, poiché il lavoro è il modo con cui trasformiamo il mondo che ci circonda e la società ma, allo stesso tempo, siamo profondamente legati al contesto da cui proveniamo e bisogna prendersene cura. La cultura della cura, a nostro parere, fa da ponte tra la Settimana Sociale di Taranto e quella di Trieste del 2024 perché il prendersi cura del prossimo, può costruire una società in cui l’atro si senta accolto e possa partecipare al progresso comune”.
Alcune parole-chiave compongono il tessuto che anima il disegno: la prima è «partecipazione» rimettere al centro un’educazione integrale, una sfida che non riguarda solo i giovani, ma attraversa tutte le generazioni; riabitare i luoghi, costruire il futuro del Paese è possibile solo partendo dai territori, dai luoghi dove le persone vivono.
Ma alcune assenze suscitano perplessità
Bene. Progetto ambizioso, vasto e sicuramente impegnativo. Per questo, a modesto parere di scrive, è importante segnalare alcune assenze dal documento, significative se rimangono tali anche durante i lavori (a meno che non rientrino invece nei tavoli di lavoro dei Laboratori). Ossia: i partiti, la crisi, la necessità di non trascurarne una loro difficile ma possibile rigenerazione, per una democrazia che non può totalmente farne a meno, e in più immaginare forme di convivenza con le nuove modalità di partecipazione; la crisi di autorevolezza delle istituzioni (nazionali e internazionali), per certi versi consequenziale alla prima, ma sulla quale una accurata riflessione sulla democrazia, per essere realistica, non può tacere; infine ci sarebbe anche la necessità di un’ampia, approfondita e lungimirante attenzione ai meccanismi di comunicazione e informazione, di cui si sostanzia la qualità della libertà di pensiero e di espressione di cui si nutre ogni solida democrazia.
La scelta dei temi della 50^ Settimana sociale focalizza in modo preciso la necessità di una rinnovata attenzione da parte della comunità ecclesiale verso questi temi e rilancia la possibilità di un contributo dei cattolici sulle questioni che riguardano il bene comune.
Seppur in continuità con le più recenti settimane di Cagliari e Taranto, il discernimento ecclesiale che ha portato alla scelta dei temi “triestini”, ci pare che colga in pieno il delicato frangente culturale e sociale che stiamo attraversando.
Le dinamiche di frantumazione e disgregazione accompagnate da un pervasivo individualismo e dalla continua tentazione (e non solo) di costruire comunità civili e politiche “chiuse”, continuano a permeare la nostra vita sociale. Queste dinamiche chiaramente coinvolgono anche le nostre comunità ecclesiali.
In questa prospettiva la Settimana sociale è un’occasione per visioni, progetti e azioni differenti ed avviare un’opera formativa e pastorale che possa “curvare” l’attenzione delle nostre comunità ecclesiali verso le tematiche del vivere comune, spesso non considerate e sottovalutate o delegate ad una pastorale di “settore”.
In questo quadro è rilevante che Trieste non sia solo un evento (questo è stato detto e tutti sappiamo del rischio connesso) e sappia essere parte di un processo più vasto (questo è stato detto e sono state progettate alcune indicazioni e azioni di più lungo respiro), ma è opportuno anche saper coinvolgere le Chiese locali, le parrocchie e l’ordinarietà della pastorale.
Pensiamo che questa necessità non debba essere consegnata esclusivamente ai delegati e agli uffici pastorali di riferimento, ma dovrebbe richiedere un’attenzione particolare a livello nazionale, con strumenti di comunicazione e di lavoro adatti alla realtà.
Collegato al punto precedente, pensiamo che Trieste possa essere l’occasione per far presente che l’interesse e l’impegno verso la democrazia e i processi partecipativi, possono essere considerati come “un segno dei tempi”.
Questi temi, seppur caratterizzati da una forte dose di sana “laicità”, interrogano la nostra fede e la nostra Chiesa e nel contempo sono parte non solo di un dinamico magistero sociale, ma sono anche parte della vocazione di ogni cristiano.
Il cristiano vive nel mondo e nel mondo deve saper riconoscere il passaggio del Risorto.
E’ un aspetto teologico e spirituale da non sottovalutare, recuperando l’interesse verso il “personalismo comunitario” che sa integrare la soggettività con la costruzione di comunità aperte e solidali.
In questa prospettiva, i temi dell’impegno politico e sociale e dei processi partecipativi, possono essere vissuti non solo come un “dovere” che si arrende davanti alle difficoltà, ma come possibilità di vita più autentica.
“Non può esistere una democrazia che non abbia in sé questa tensione vitale, questa spinta al cambiamento, anche un certo conflitto positivo che non lascia in pace le persone e le sfida a trovare insieme le soluzioni di cui hanno bisogno”. La partecipazione, inoltre, “non attiene solo al campo del fare, delle buone pratiche, alle azioni concrete”, ma coinvolge anche la dimensione culturale, spirituale e politica: “Partecipazione è sempre un campo di azione plurale, collettivo, comunitario, vitale, generativo, espressione di un ‘noi comunitario’. È un campo accessibile, dove nessuno deve sentirsi escluso dalla possibilità di incidere nei processi cruciali per la difesa e la promozione del bene comune; dove nessuno può chiamarsi fuori dalle responsabilità condivise, ma deve poter mettere in gioco i suoi talenti per il bene del suo quartiere, della sua città, del suo paese”.
“Poter godere di un lavoro dignitoso, riconosciuto, capace di far fiorire capacità e talenti, che consenta tempi di conciliazione con gli altri aspetti della vita (famiglia, figli, tempo libero, salute) è un nodo fondamentale di ogni democrazia, se abbiamo a cuore non solo la crescita economica ma soprattutto lo sviluppo integrale delle comunità e delle persone”.
L’Italia dei “senza” e l’Italia dei “con”, il ritratto contenuto nel documento preparatorio: “senza cittadini, senza abitanti, senza fedeli, senza lavoratori”, ma anche con “il protagonismo di tanti cittadini che si sono incamminati, che si stanno rimboccando le maniche, ma che forse abbiamo perso di vista”. Ascoltare le donne e i giovani, i due imperativi.
“I cristiani non sono (solo) quelli che frequentano le chiese”, si precisa nel testo a proposito dell’attività di tane realtà associative, del mondo cooperativo, delle tante imprese sociali e civili: “li troviamo nelle corsie degli ospedali, disposti ad ascoltare i pazienti, nelle scuole dove ci sono insegnanti che sanno educare e capire i loro allievi, nelle aziende sane dove si coltiva un’idea di economia civile capace di mettere al centro la persona e l’ambiente. I cristiani li troviamo nei luoghi della vita quotidiana, nei quartieri dove si fanno carico delle solitudini delle persone, nelle reti di prossimità, nelle azioni in difesa del pianeta e della biodiversità, dove fanno esercizio di creatività e di immaginazione. Osano, propongono, mettono a terra idee e progetti. Spesso danno fastidio, provocano”. Ma senza di loro – la citazione di Papa Francesco – “la democrazia si atrofizza”.
Ricostruire a partire dall’ambito formativo.
Occorre dirsi che oltre l’importanza del momento elettorale sarà necessario rimettere in circolo prospettive e progetti a partire dalla società civile, dai gruppi e dalle realtà culturali, così che innervino la lettera delle leggi e possano creare maggiore consapevolezza nell’opinione pubblica, anche della Chiesa, oltre che promuovere partecipazione sociale e politica. Perché i bisogni non hanno solo una valenza materiale ma richiedono un sostegno culturale, filosofico e spirituale che attende il contributo del pluralismo sociale che oggi in molti avvertono, mondo cattolico compreso, come un po’ appannato. Per costruire una società meno ingiusta e più attenta ai bisogni di tutti non si può solo rivolgere generici appelli alla politica, occorre ricostruire solidi percorsi di formazione e favorire occasioni e luoghi di confronto che valorizzino e rendano attuali tradizioni culturali e sociali che hanno fatto grande il nostro Paese. La profonda radice cattolica dell’Italia potrebbe offrire grandi stimoli su questo versante, che devono però trasformarsi in rinnovate occasioni di riflessione, approfondimento e dibattito pubblico, a partire dalla comunità ecclesiale e dai suoi percorsi di formazione per giovani e adulti. Esistono già meritorie e consolidate proposte (si pensi alle Settimane Sociali o a numerosi convegni di studio), ecclesiali e non solo, che devono però uscire dal circuito degli “addetti ai lavori” e provare a intercettare una dimensione più ampia e popolare. In tal senso saranno da valutare eventuali segnali di risveglio o nuove iniziative, da studiare nell’evoluzione che si manifesterà dopo.
conferma in tal senso il proprio impegno formativo per la crescita di cittadini attivi e consapevoli, a favore della partecipazione e del rinnovamento della democrazia italiana.
Gli strappi, le fratture e le lacerazioni che stiamo vivendo si inseriscono in un contesto storico che viene da lontano. E così pure il compito dei cattolici, chiamati a stare nella storia, senza fughe, portando la “profezia” della pace .
L’orizzonte complessivo è la convinzione di “trovarci di fronte a una società lacerata, smarrita e impaurita. L’impegno dei cristiani, anche alla luce della Dottrina sociale della Chiesa, è quello di individuare strade per «ricucire» una realtà sfilacciata, tramite la creazione di nuovi legami e connessioni. Questo non per tornare al passato – che non ritorna – ma per costruire una nuova trama di relazioni, a partire dal «filo» della fraternità, dell’amicizia sociale, di una nuova economia”.
Attenzione particolare ai territori e ai giovani, riscoperta della dimensione profetica.
L’ecologia integrale ci insegna che non è possibile ormai pensare ai grandi problemi della società come sconnessi tra loro. Per questo motivo nessuno può pensare di affrontare la complessità dei temi senza l’aiuto di chi ha accanto, senza sentirsi parte di quel “NOI” che fa da fondamenta per il ruolo della cittadinanza attiva.
Ci si rende conto del fatto che questa opera produce allo stesso tempo come esternalità positiva partecipazione, cittadinanza attiva e dunque quel capitale civico e sociale senza il quale una democrazia non può sopravvivere. Coscienza e consapevolezza di sé dovrebbero arrivare dal comprendere come nel corso degli ultimi anni la società civile ha di fatto costruito sul campo un nuovo paradigma e ha elaborato e fatto maturare soluzioni politiche che poi sono state trasformate in leggi da rappresentanti delle istituzioni e dei partiti.
La Commissione Regionale PSL
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